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Recensione al libro Incontri troppo ravvicinati?

La bella recensione al libro uscita sul numero di oggi (23/03) de Il Dubbio.

Polizia, abusi e populismo nell’Italia di oggi

GIANNI ALATI

 

l G8 di Genova del 2001 è stato il trauma di una generazione nel rapporto con la politica e con le istituzioni, rappresentate sul campo dalle forze di polizia in abito da combattimento contro civili inermi o resi inoffensivi. Quelle vicende restano una macchia sulla credibilità delle istituzioni repubblicane e delle forze di polizia in particolare.

Da allora abbiamo imparato a riconoscere con maggiore consapevolezza il rischio dell’abuso di polizia, sia in danno di singoli sia nelle dinamiche collettive, dalle proteste di piazza a quelle in carcere, come nel più recente caso di Santa Maria Capua Vetere. Non che queste cose nascono oggi, o ieri, a Genova. La polizia, come ci ricorda Vincenzo Scalia in questo libro, esercita su delega di altre istituzioni il monopolio della violenza che lo Stato rivendica per sé. E nella storia dell’Italia unita non sono mancati episodi e momenti in cui la dimensione violenta del potere di polizia si è slatentizzata, manifestandosi in pratica repressiva degli oppositori, politici o sociali. Così è stato nella repressione del brigantaggio meridionale, in quella delle sollevazioni popolari a cavallo tra Otto e Novecento, nella condiscendenza al regime fascista, nella repressione delle manifestazioni popolari nel secondo dopoguerra del secolo scorso. Ma il conflitto sociale e politico degli anni Settanta, che – tra le altre cose – ha portato con sé la smilitarizzazione del corpo di polizia e progetti di community policing sul modello anglosassone, trent’anni fa sembrava aver aperto una nuova stagione, che appariva del tutto coerente con l’enorme fiducia popolare riposta nelle forze di polizia come braccio destro della magistratura nelle inchieste sulla corruzione politica dei primi anni Novanta e, soprattutto, nella repressione della criminalità organizzata stragista.

Nonostante non siano mancati episodi e denunce di senso contrario, una generazione di attivisti ha scoperto a Genova, sulla propria pelle, il braccio violento della legge. Importante è, quindi, come fa Scalia in questo libro, tornare a studiare la polizia, scegliendo di mettere alla prova delle acquisizioni della letteratura scientifica anglosassone alcune vicende specifiche che hanno segnato la storia italiana recente, dalle morti di Federico Aldrovandi e di Riccardo Magherini, alla gestione degli ordini di confinamento durante la prima fase del Covid in Italia.

Come ci ricorda Scalia, gli studi sulla polizia in Italia sono stati principalmente studi della istituzione nei suoi rapporti con la storia nazionale e con quella delle altre istituzioni pubbliche. È mancata, invece, una produzione scientifica paragonabile a quella di altri Paesi sulla cultura e le prassi diffuse delle forze di polizia. E allora serve studiare, come fa Scalia, nelle cronache e negli eventi le caratteristiche e gli stilemi dei saperi di polizia, in modo da sottrarre “il caso” al suo farsesco destino di “mela marcia”, per riconoscerne le disfunzioni istituzionali e la possibilità della loro contestazione. Resteranno, anche alla fine, il rischio e la pratica dell’abuso, intimamente legati alla natura del potere di polizia. Se da una parte il potere di polizia non può che servire classi e opinioni dominanti, dall’altra consiste proprio nella capacità di tracciare linee di demarcazione tra ciò che in concreto merita di essere perseguito e di ciò che no. In questa discrezionalità al servizio del potere dominante c’è sempre il rischio dell’abuso. La conoscenza scientifica verso cui ci accompagna Scalia è la prima condizione per riconoscerlo e, per ciò stesso, limitarlo.

 



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Vincenzo Scalia


Incontri troppo ravvicinati


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